L’informatica entrerà nel patrimonio culturale degli insegnanti!
Non fa notizia, ma sarebbe da prima pagina
Il 6 dicembre è stato pubblicato il decreto interministeriale n. 1216 del 28–10–2021, con il quale il Ministero dell’Università e della Ricerca e il Ministero dell’Istruzione sanciscono che i settori scientifico disciplinari che devono concorrere alla formazione accademica degli insegnanti in materia di didattica digitale e programmazione informatica (coding) sono quelli propri dell’informatica, denominati INF/01 (Informatica) e ING-INF/05 (Sistemi di elaborazione delle informazioni).
Sembra lapalissiano che per permettere agli insegnanti di acquisire competenze digitali e informatiche si debba ricorrere all’informatica (ed è per questo che non fa notizia), ma in realtà il decreto è rivoluzionario (ed è per questo che dovrebbe occupare le prime pagine dei giornali). Vediamo perché.
Trasformazione digitale e crisi di competenze
Siamo tutti testimoni di una trasformazione digitale che ci appare rivoluzionaria perché, nel breve intervallo di tempo che separa due generazioni, produce cambiamenti radicali nella società, nell’economia, nel lavoro, nelle abitudini e nell’esercizio dei diritti-doveri di cittadinanza. A guardare indietro con attenzione ci si accorgerebbe che la trasformazione è in atto dalla notte dei tempi, ma la sua velocità, che cresce esponenzialmente, solo di recente ha superato la soglia che rende difficilmente assimilabili per gli essere umani i cambiamenti di cui sono testimoni nell’arco della vita. È questo che ha portato la trasformazione digitale all’attenzione dell’opinione pubblica e dei governi, chiamandoli a prenderne atto, a gestirne le conseguenze e a tentare di coglierne le opportunità e di guidarne lo sviluppo.
La conseguenza più evidente è la grave carenza di competenze digitali, che non va intesa come un problema episodico, come un buco da colmare occasionalmente con palate di formazione, ma come un effetto inevitabile della crescente velocità di trasformazione, che richiede soluzioni strutturali adeguate.
Del problema delle competenze digitali si parla da almeno vent’anni in termini di skill gap, divario tra domanda e offerta di competenze digitali avanzate, di generation gap, divario tra le competenze digitali di generazioni diverse, di gender gap, presenza femminile minoritaria in ambito digitale, e di cultural digital divide, analfabetismo tecnologico che impedisce la piena partecipazione alla vita democratica.
Quando manca qualcosa di essenziale è naturale cercare di procurarselo in fretta. Così la crisi di competenze è stata affrontata in modo estemporaneo con soluzioni di brevissimo periodo, come se si trattasse di un’emergenza: intensi corsi di formazione professionalizzanti per giovani inoccupati, corsi di riqualificazione del personale in servizio, formazione tra pari per la diffusione di buone pratiche nei contesti lavorativi, corsi di alfabetizzazione digitale dei cittadini.
Benché queste misure sortiscano degli effetti e possano essere sistematizzate sotto l’ampio ombrello del lifelong learning, hanno il limite di lavorare a valle del sistema formativo, con l’intento di colmarne le lacune. Se non si agisce parallelamente sul sistema formativo, le lacune non solo si ripresentano di anno in anno, ma crescono al ritmo esponenziale di cui sopra, rendendo strutturalmente insufficiente qualsiasi pezza applicata a valle.
Per affrontare il problema in modo sistematico, l’Italia, come già l’Europa, si è dotata di una Coalizione Nazionale per le competenze e le professioni digitali, chiamata Repubblica Digitale, che nel 2020 ha elaborato una strategia articolata lungo 4 assi: Istruzione e Formazione Superiore, per lo sviluppo delle competenze digitali all’interno dei cicli d’istruzione per i giovani; Forza lavoro attiva, per garantire ai lavoratori in servizio competenze adeguate a tenere il passo con la trasformazione in atto nel proprio ambito lavorativo; Competenze specialistiche, per guidare la trasformazione garantendo competitività e sviluppo; Cittadini, per permettere di acquisire le competenze digitali necessarie a esercitare i diritti di cittadinanza e la partecipazione consapevole alla vita democratica.
Purtroppo non esiste un mercato delle competenze digitali capace di trovare un equilibrio tra domanda e offerta. Nel periodo di istruzione obbligatoria, quando la domanda è garantita dall’obbligo scolare, il problema è la mancanza di offerta. Superato l’obbligo scolare, il problema principale diventa la carenza di domanda: mancano giovani, in particolar modo ragazze, che scelgano percorsi di studio superiore, universitario e di alta formazione che consentano di acquisire competenze specialistiche in ambito ICT (tecnologie dell’informazione e della comunicazione). Sono le stesse competenze la cui penuria lascia scoperti i posti di lavoro necessari ad enti e aziende per guidare la trasformazione digitale e lo sviluppo socio-economico.
Per contrastare la cronica carenza di domanda sul mercato della formazione e del lavoro in ambito digitale, sono state lanciate campagne di comunicazione e di sensibilizzazione a livello nazionale e internazionale.
Ma bisognerebbe lavorare sull’offerta nella scuola dell’obbligo per creare la base di conoscenza necessaria a stimolare la domanda consapevole dopo l’obbligo scolare.
L’Informatica
Alla base della trasformazione digitale c’è la nostra capacità di rappresentare informazioni ed elaborarle in modo automatico. La scienza che si occupa dell’elaborazione automatica delle informazioni è l’Informatica. Ha radici profonde nella matematica, nella logica, nella filosofia, ma ha avuto uno straordinario impulso con l’invenzione di macchine programmabili, con la conseguente separazione tra hardware e software, e con la microelettronica, che dagli anni ’60 del secolo scorso ha impresso all’innovazione tecnologica l’accelerazione esponenziale nota come Legge di Moore. A quegli anni risale il termine stesso Informatica, in uso in Italia da poco più di 50 anni.
Negli ultimi 50 anni l’informatica ha avuto un impatto senza precedenti sulla società, ma i programmi scolastici non ne hanno ancora preso atto.
La mancata introduzione dell’informatica a Scuola crea un divario sempre più ampio tra innovazione e cultura e alimenta la crisi di competenze a tutti i livelli:
- forma cittadini di domani affetti da lacune ancora più gravi di quelle che oggi ci affanniamo a colmare;
- impedisce che ragazze e ragazzi possano scegliere consapevolmente di intraprendere studi e carriere in ambito informatico;
- affida alla formazione continua il ruolo di colmare lacune incolmabili che nulla hanno a che fare con l’aggiornamento;
- soprattutto, impedisce che la scienza che è alla base delle soluzioni tecnologiche che usiamo quotidianamente entri a far parte del patrimonio culturale condiviso.
All’introduzione dell’Informatica nelle scuole di ogni ordine e grado sta lavorando da anni il CINI (Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica), che già nel 2017 aveva elaborato una Proposta di Indicazioni Nazionali per l’insegnamento dell’Informatica nella Scuola e ha costituito un Laboratorio permanente dedicato al tema Informatica & Scuola.
Nel frattempo l’Informatica è arrivata nella scuola in altre due forme: con le metodologie e tecnologie della didattica digitale e con il coding.
Metodologie e tecnologie della didattica digitale
La prima delle due forme testimonia l’impatto che l’ICT ha nella Scuola come in qualsiasi altro settore. Il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD), varato dal Governo nel 2015, ne ha preso atto e ha messo in campo una serie di azioni finalizzate a stimolare la sperimentazione di tecnologie e metodologie didattiche innovative, monitorandone l’efficacia e favorendo la diffusione e l’adozione di buone pratiche.
L’applicazione alla didattica di metodologie e tecnologie innovative, è cosa completamente diversa dall’insegnamento della disciplina su cui tali innovazioni si basano. Si tratta solo di un aspetto, per quanto importante, della trasformazione digitale in atto, che investe la Scuola come ogni altro settore.
Così, anche la formazione in servizio degli insegnanti, giustamente prevista nel PNSD e nelle successive iniziative ministeriali per supportare la trasformazione digitale, nel contesto delle strategie nazionali e internazionali per le competenze digitali si inquadra tra le azioni di aggiornamento e riqualificazione della forza lavoro attiva.
Il coding
Il coding, invece, è entrato nella scuola dal basso, stimolato da campagne di sensibilizzazione lanciate nel 2013 in America (Computer Science Education Week, più nota come Hour of Code) e in Europa (Europe Code Week).
L’intento principale di queste campagne era quello di avvicinare i giovani all’Informatica per colmare, in prospettiva, lo skill gap di cui soffriva, già allora, il mercato del lavoro. Sulla home page di Programma il futuro (il portale italiano che dal 2015 localizza i contenuti di code.org per iniziativa di CINI e Ministero dell’Istruzione) si legge ancora come motivazione: “I princìpi dell’informatica sono utili per il lavoro”.
Per svelare la vera natura dell’Informatica, entrambe le campagne di sensibilizzazione hanno deciso di presentarne in modo intuitivo e immediato l’aspetto più creativo e potente: la programmazione.
Gli strumenti di programmazione visuale a blocchi (Scratch e il Labirinto di code.org in primis) e i metodi di coding unplugged (tra i quali il nostro CodyRoby e gli strumenti che ne sono scaturiti) hanno permesso a tutti di sperimentare l’emozione di programmare un computer o un robot in modo intuitivo.
Gli insegnanti che hanno aderito alle campagne si sensibilizzazione svolgendo attività di coding durante le settimane celebrative, si sono resi conto che le attività proposte sortivano effetti ben superiori alla mera sensibilizzazione e hanno cominciato a comprenderne e sfruttarne le potenzialità in termini di coinvolgimento, inclusione, motivazione e, soprattutto, applicazione didattica del pensiero computazionale.
Il pensiero computazionale ha a che fare con gli algoritmi, ma molto semplicemente riguarda la nostra capacità di elaborare e applicare procedure che portino alla soluzione di un problema attraverso una sequenza di passi elementari. Il coding stimola il pensiero computazionale perché ci pone di fronte ad un esecutore ideale, un computer o un robot, al quale affidare un compito fornendogli una descrizione rigorosa del procedimento da seguire. L’esigenza di descrizione rigorosa induce una comprensione profonda del procedimento in oggetto.
E’ così che il coding, entrando nella scuola, ha svelato il valore trasversale e metodologico dell’Informatica, trasformando le campagne di sensibilizzazione in campagne di alfabetizzazione inserite tra le azioni delle agende digitali nazionali ed europee.
E’ notizia dei giorni scorsi l’approvazione di un emendamento al PNRR che prevede l’introduzione obbligatoria del coding nelle scuole di ogni ordine e grado, qualsiasi cosa questo significhi.
Il coding, applicato spontaneamente dagli insegnanti nella pratica didattica, offre agli alunni un’ottima percezione dell’informatica, crea familiarità con il ragionamento algoritmico e con i principi base della programmazione, stimola l’applicazione del pensiero computazionale e arricchisce il ventaglio di strumenti metodologici a disposizione degli insegnanti. Ma non può essere considerato una soluzione al problema dell’insegnamento dell’informatica.
La formazione degli insegnanti
Il problema delle competenze digitali degli insegnanti è stato affrontato fino ad ora nell’ambito della formazione in servizio, erogata da enti di formazione accreditati o autogestita dalle scuole, possibilmente organizzate in rete, coinvolgendo esperti esterni e insegnanti con buone pratiche da condividere.
Le competenze digitali sono state quindi affrontate come se ci si fosse svegliati nell’anno zero della rivoluzione digitale, si fosse preso atto di un cambiamento ineluttabile e si fosse corsi ai ripari per aggiornare il personale in servizio. Questo è stato applicato tanto alle metodologie e tecnologie della didattica digitale quanto al coding.
Le Università sono state solo marginalmente coinvolte nel processo di formazione in servizio di competenze digitali, ma le rare eccezioni, tra le quali mi permetto di annoverare “Coding in Your Classroom, Now!” e i successivi MOOC dell’Università di Urbino, hanno fatto la differenza.
Nel 2019, a 6 anni dall’avvio di Hour of Code e Europe Code Week e a 4 anni dall’avvio del PNSD, ci si è resi conto che non si poteva più procedere come all’anno zero, perché gli anni passavano in fretta e stavano all’esponente di un esponenziale che non lasciava tempo ai tentennamenti. Era venuto il momento di garantire alle nuove generazioni di insegnanti il diritto di acquisire durante la formazione accademica (e non dopo) le competenze digitali ritenute ormai imprescindibili. Mi piace pensare che alla base della Legge n. 159 del 2019 ci sia stata questa presa di coscienza.
Art. 1-ter della Legge n.159 del 20 dicembre 2019 (conversione del DL n.126 del 29 ottobre 2019):
«Nell’ambito delle metodologie e tecnologie didattiche di cui all’articolo 5, commi 1, lettera b), e 2, lettera b), del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59, nonché nei corsi di laurea in scienze della formazione primaria, ovvero nell’ambito del periodo di formazione e di prova del personale docente, sono acquisite le competenze relative alle metodologie e tecnologie della didattica digitale e della programmazione informatica (coding).»
Solo così la formazione in servizio potrà essere dedicata all’aggiornamento, cioè ad aiutare gli insegnanti a tenersi aggiornati sulle novità introdotte dopo la conclusione del loro percorso di formazione universitaria, anziché a colmare lacune prevedibili.
La Legge n. 159 del 2019 rimandava tuttavia a un successivo Decreto per individuare i Settori Scientifico Disciplinari (SSD) all’interno dei quali dovessero essere acquisite le competenze digitali indicate.
Su questo si è espresso il Consiglio Universitario Nazionale (CUN) nell’adunanza del 14 ottobre 2021, con un parere recepito dal Ministero dell’Istruzione e dal Ministero dell’Università e della Ricerca nel Decreto Interministeriale n. 1216 del 28 ottobre 2021, pubblicato il 6 dicembre 2021.
Il Decreto Interministeriale n. 1216 del 28/10/2021
In sostanza il Decreto stabilisce che i SSD all’interno dei quali dovranno essere acquisite le competenze digitali durante la formazione universitaria degli insegnanti siano quelli propri dell’informatica: INF/01 e ING-INF/05.
L’Articolo 1 stabilisce Oggetto e Finalità del Decreto:
Art. 1.1. Il presente decreto individua i settori scientifico-disciplinari all’interno dei quali sono acquisiti i crediti formativi universitari e accademici relativi alle competenze in materia di “didattica digitale e programmazione informatica” (coding) in attuazione del decreto-legge 29 ottobre 2019 n. 126, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 2019, n. 159, in premessa citato.
L’Articolo 2 integra gli allegati A, B e C del D.M. 616/2017, che riguardano l’acquisizione dei 24 CFU/CFA che costituiscono requisito di accesso ai concorsi. In particolare, integra gli obiettivi formativi dell’ambito delle Metodologie e tecnologie didattiche:
Art. 2.1.a) Nell’allegato A, alla lettera d), sono inseriti, in fine, i seguenti obiettivi formativi dei settori scientifico-disciplinari individuati alla lett. b):
“• Metodologie e tecnologie per la didattica digitale;
• Elementi di base della programmazione informatica.”;
Stabilisce inoltre che i SSD propri dell’informatica vadano aggiunti a quelli comuni a tutte le classi di concorso:
Art. 2.1.b) Nell’allegato B, nell’ambito delle “Metodologie e tecnologie didattiche generali”:
1) dopo il punto concernente “Le metodologie della ricerca educativa empirica, quantitativa e qualitativa, a sostegno del miglioramento della qualità dei processi educativi formali.”, sono inseriti i seguenti punti:
“• Metodologie e tecnologie per la didattica digitale.
• Elementi di base della programmazione informatica.
• Elementi di informatica di base.”;
2) dopo i settori scientifico-disciplinari: “M-PED/03, 04” sono aggiunti i seguenti settori scientifico-disciplinari: “INF/01 e ING-INF/05”.
L’Articolo 3, infine, prescrive l’inserimento dei SSD INF/01 e ING-INF/05 nelle tabelle della LM-85bis, la classe di Laurea Magistrale in Scienze della Formazione Primaria.
Art. 3.1. Con successivo regolamento ministeriale, i settori scientifico-disciplinari individuati per le competenze della didattica digitale e della programmazione informatica (coding), saranno inseriti nella tabella relativa al Corso di laurea magistrale in Scienze della formazione primaria (LM -85 bis), di cui al d.m. n. 249/2010.
Cosa sono SSD, CFU/CFA e Classi di Laurea
I Settori Scientifici Disciplinari (SSD) contraddistinguono gli ambiti disciplinari a cui afferiscono gli insegnamenti e i professori che li tengono. Il fatto che i professori titolari degli insegnamenti afferiscano allo stesso SSD degli insegnamenti stessi è un parametro di qualità della didattica universitaria, poiché realizza appieno la sinergia tra ricerca e didattica, affidando l’insegnamento di ogni argomento a chi nella vita ha scelto di approfondirlo fino a dare contributi originali riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale.
I CFU/CFA (Crediti Formativi Universitari o Accademici) sono un’unità di misura dell’impegno figurativo (cioè medio) che la formazione universitaria richiede agli studenti. Ogni CFU/CFA corrisponde a 25 ore di impegno complessivo, tra attività didattica in aula/laboratorio e studio individuale. Questa unità di misura si applica ad ogni attività formativa e consente di rendere confrontabili e mutuamente riconosciute le attività svolte in Università diverse in Italia e all’estero. Ogni anno di un Corso di Studio universitario prevede mediamente l’acquisizione di 60 CFU/CFA, pari a 1500 ore di impegno.
Le Classi di Laurea e le Classi di Laurea Magistrale stabiliscono i criteri di massima che devono rispettare le Università che intendono attivare Corsi di Studio finalizzati a raggiungere specifici obiettivi. I criteri sono espressi da tabelle, che indicano quali sono i SSD da utilizzare e in che misura, minima e massima, debbano concorrere a formare il piano degli studi. Ogni Università ha la libertà di proporre l’attivazione di Corsi di Studio nell’ambito di una specifica classe, ma deve attivare insegnamenti che afferiscano ai SSD previsti dalle tabelle ministeriali e deve disporre di un numero sufficiente di professori e ricercatori di ruolo che ne assumano l’insegnamento.
Perché il Decreto è una buona notizia
L’Università è il luogo dove ricerca e didattica si incontrano. Questo incontro è pienamente compiuto quando i settori degli insegnamenti coincidono con quelli a cui afferiscono i professori che li insegnano, perché significa che loro stessi stanno facendo ricerca in quegli stessi campi. Poter attingere ai SSD propri dell’Informatica nella formazione accademica degli insegnanti è quindi particolarmente importante, perché garantisce loro l’accesso diretto alla scienza che è alla base della trasformazione digitale.
In assenza del Decreto, tale accesso era precluso (e lo è ancora in attesa dei Regolamenti ministeriali che il Decreto prevede), poiché le Università non possono attivare insegnamenti in settori non previsti nelle tabelle ministeriali. Pertanto, né le Lauree Magistrali in Scienze della Formazione Primaria, né i corsi integrativi da 24 CFU/CFA, offrono ad oggi questa opportunità.
Del resto, l’informatica è una disciplina di interesse trasversale, in grado di fornire gli strumenti concettuali necessari a partecipare a pieno titolo alla società dell’informazione e ad utilizzare consapevolmente le tecnologie digitali. L’esercizio di astrazione, pianificazione e descrizione rigorosa proprio della programmazione informatica stimola la creatività costruttiva e contribuisce allo sviluppo del pensiero critico e alla comprensione degli aspetti computazionali di fenomeni, situazioni e processi.
Se è opinione diffusa che tali strumenti metodologici e concettuali debbano essere offerti ai bambini fin dalla scuola primaria, è essenziale che questi stessi strumenti siano presenti nei percorsi formativi accademici dei loro insegnanti.
Infine, se è vero che la trasformazione digitale espone gli individui a tassi di innovazione con i quali è difficile confrontarsi, è essenziale che gli insegnanti inizino la loro esperienza lavorativa con le basi concettuali e metodologiche necessarie a rendere massimamente efficace la formazione in servizio che li terrà aggiornati nel corso della loro carriera.
Per tutte queste ragioni il Decreto Interministeriale 1216 del 28/10/2021 rappresenta il passo più significativo che l’Italia ha compiuto fino ad oggi per affrontare in modo strutturale il problema delle competenze digitali.
E’ un piccolo passo ancora non completamente compiuto, ma è il primo che muoviamo nella direzione giusta, per fare della cultura informatica un patrimonio collettivo.